Nino Rollo
Ragazzo prodigio, uomo portato sempre all’eccesso, anarchico contro tutto e tutti, di cultura raffinata e curiosa, scrittore impetuoso, innamorato della vita e amico della morte.
Nino Rollo, scultore e disegnatore, non ha un posto rilevante nella storia dell’arte forse proprio per questi motivi, ma è stato una personalità forte e ha creato un’opera ancora in buona parte da scoprire e valorizzare.
Nato a Lequile, in provincia di Lecce, il 27 ottobre del 1942,
a otto anni termina le scuole elementari. Dopo aver frequentato l’Istituto d’arte a Lecce, si diploma al magistero di Napoli nel 1959. La città partenopea degli anni cinquanta, vivace, fervida e vitale, è un’esperienza fondante umanamente e culturalmente, ricca di studi e incontri con personalità di spicco dell’arte e della cultura, di ricerche e di scoperte. Ha infatti insegnanti come lo scultore Ennio Tomai, lo storico dell’arte Raffaele Mormone e segue le lezioni dello scrittore Vasco Pratolini. Ha inoltre la possibilità di frequentare gli studi di artisti quali Romolo Vetere, Aldo Calò, Augusto Perez, Vincenzo Gaetaniello. Nell’atelier di quest’ultimo incontra per la prima volta l’opera di Brancusi in una riproduzione fotografica de Lo spirito di Buddha. Nello stesso periodo ha modo di avvicinare l’opera di Henry Moore nella mostra antologica di Valle Giulia a Roma.
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Nino Rollo nel suo laboratorio a Poggiardo (Lecce), 1969. Foto archivio Fondazione Nino Rollo
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Tornato a Lecce dopo il diploma, ad appena diciotto anni, inizia ad insegnare nell’Istituto d’arte di Poggiardo.
Nello stesso anno l’esperienza del primo viaggio a Parigi, le visite al Louvre, all’atelier di Brancusi e al Musée de l’Homme segnano una svolta decisiva nella sua formazione.
Il periodo napoletano si rivela fondamentale anche per l’apprendimento della tradizione del “fare”, del mestiere, come l’intaglio del legno nello studio di Gaetaniello o la politura e le patine delle fusioni metalliche nell’atelier di Tomai. Il mestiere
è sempre stato fondamentale per Rollo, così come il contatto
e la conoscenza del materiale. La capacità manuale è il mezzo che gli permette di realizzare l’intima connessione tra pensiero e forma, tra sé e la materia, l’indagine dei materiali non è solo una questione tecnica ma una componente irrinunciabile per poter dialogare con la natura, cioè fare scultura.
Aveva imparato a lavorare il ferro a scuola e nelle officine degli amici artigiani, lo aveva usato agli inizi del suo lavoro, associato al legno o alla pietra, in opere che risentivano dell’influsso della scultura di Aldo Calò. Negli anni sessanta lavora soprattutto il legno, grossi tronchi, lunghi anche due o tre metri e più, noce, quercia, eucalipto, castagno. Leviga accuratamente le superfici e a volte le ricopre con foglia d’argento o d’oro, con vernice d’alluminio e, più tardi, con patine ottenute mescolando terre minerali, grafite e cera come nelle tradizioni etniche africane.
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Nino Rollo nel suo laboratorio a Poggiardo (Lecce), 1974. Foto archivio Fondazione Nino Rollo
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Nino Rollo nel suo laboratorio a Poggiardo (Lecce), 1976. Foto archivio Fondazione Nino Rollo
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Nino Rollo, particolare delle mani con una piccola scultura. Lecce, 1980. Foto di Francesco Spada
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Nino Rollo nel laboratorio di via Birago a Lecce, 1980. Foto di Francesco Spada
Possiede una percezione quasi animistica degli elementi naturali, un sentire che lo induce all’umiltà e al rispetto davanti al tronco o al blocco da scolpire.
La scelta del taglio diretto, oltre che tecnica, è molto caratteriale. Non conosce mezze misure, è contro ogni compromesso nella vita e nell’arte, la sua ricerca di “assoluto” è quasi furiosa. Afferma di essere un contadino e di lavorare per una scultura che “ha le radici affondate nella terra ma lo sguardo rivolto al cielo”. Si sente anarchico: “La scultura non procede per evoluzione, ma per rivoluzione, è rottura drastica col passato, sovvertimento, contraddizione”.
A Cagli, nelle Marche, dove insegna dal 1970 al 1973, realizza le prime sculture in pietra nella bottega di un artigiano che lavora alabastro e onici colorati.
È, quello per la pietra, un amore assoluto, come nel suo carattere. Afferma che i suoi veri maestri sono i calcari, i marmi, i graniti e si dice “scultore pietrante”, rivendicando con orgoglio la sua simbiosi con la pietra, risultato di un lungo percorso conoscitivo.
La solitudine è una dimensione necessaria, voluta e amata, nella ricerca artistica di Rollo, soprattutto negli anni seguenti. Isolamento dovuto alla posizione geografica – è infatti tornato a Lecce – ma anche all’ambiente culturale un po’ sonnolento, come spesso capita in provincia, più rivolto al sogno del passato che all’urgenza della contemporaneità. Eppure la scelta di Rollo di restare al sud è consapevole e decisa. Ha un rapporto di amore-odio con la terra natale che spesso lo fa esplodere in invettive feroci, ma prova anche un sentimento di profonda appartenenza antropologica.
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Nino Rollo nello studio di via Birago a Lecce,1990. Foto di Pierluigi Bolognini
No Nino Rollo nel giardino di casa con il cane Taras. Lecce, 19

Nino Rollo con il cane Taras nel giardino di via Birago, Lecce1980. Foto archivio Fondazione Nino Rollo
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Nino Rollo nel giardino di via Birago a Lecce, 1990. Foto di Pierluigi Bolognini
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Nino Rollo, 1990. Foto di Pierluigi Bolognini


Da uno dei suoi viaggi a Pietrasanta, nell’estate del 1982, torna con una cassetta di lamine di pietre dure. Il colore di quelle pietre (il blu della sodalite e del lapislazzuli, il verde della malachite, il rosso del diaspro o il rosa della rodonite)
lo aveva ammaliato ed entusiasmato e segna l’inizio di una nuova ricerca materica.
Trascorre lunghe ore – giornate intere, quando non scolpisce,
e parte della notte insonne – chiuso nel suo studio. Là legge, scrive, disegna, appunta, studia.
Come interlocutori ha i testi e le immagini dell’arte, senza confini di tempo o di luogo, i testi di estetica, di filosofia,
la saggistica. Legge di poesia, di musica, è avido e curioso
di tutto.
Con questi autori si nutre, dialoga, e sempre è con lui la pietra “che mi dà splendidi consigli e quasi unica amicizia”.
In questo spazio prendono vita, le sculture che chiamerà reliquie cosmiche, sculture-ostensorio, sculture silenziarie, sculture sonore, pietre appese, sculture in libertà, le sculture con le piume, pietre del silenzio.
Malato di cuore non si risparmia mai. Muore di cancro ai polmoni a Parigi il 26 gennaio del 1992. Non ha ancora cinquant’anni.

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